Maria Teresa Prestigiacomo
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Maria Teresa Prestigiacomo – Milazzo, aprile 2001
NUTRIMENTI TERRESTRI TRA MITO E STORIA
I CARNASCIALESCHI CANTI PITTORICI DI DOINA BOTEZ
Carnascialeschi canti pittorici potrebbero definirsi le opere della pittrice rumena Doina Botez: essi si muovono su un canovaccio poetico-musicale che attinge a cadenze ritmico-cromatiche intessute attraverso opportuni contrappesi di luce, arcana e filtrata e di colore che l’artista, sapientemente, dosa, al fine di operare un alleggerimento della materia. Sempre a tale scopo, dal punto di vista tecnico, la pittrice adotta il sistema della stratificazione cromatica, in successione temporanea, cosicché il colore, strato dopo strato, attraverso una funzionale asciugatura, riesce ad offrire, all’occhio del fruitore, sottili giochi di trasparenze e di campiture, di piani e di volumi che solo una mano calma e paziente, come quella di una donna, la nostra pittrice di Bucarest, può realizzare, pur con notevole impiego di tempo.
Restando nell’ambito della similitudine musicale, si può affermare che la nota dominante sia il colore rosso; esso governa la partitura scenica di Doina Botez: il rosso della corrida nella plaza de toros, del dramma e della passione; il rosso del sangue che è nascita ed è anche Thanaton, il rosso inquietante ed intrigante dell’Andalusia e di Carmen, il rosso del vino dell’Ultima Cena (che è sangue di vita eterna), il rosso del vino della nostra tavola, del piacere e dell’ebbrezza dell’amore, “Quell’oscuro oggetto del desiderio” che rende quasi folle, per amore, il protagonista del noto film di Bunuel..
Consapevolmente, il rosso, per la Botez, sulle tele, in particolare, è consacrato al dio del vino, a quel Bacco che, fra le divinità, è quella che più si è avvicinata agli uomini: Dioniso, figlio di Giove e di Semele, uomo cresciuto libero (particolare da non trascurare in questa scelta pittorica) amante della caccia, uomo che esplicava il suo potere carismatico sulle belve feroci al punto tale da ammansirle. Fu proprio egli che creò la vite e volle offrire il vino a tutti gli uomini. Ovunque il suo corteo passava, con Ninfe, Satiri, Sileni e Baccanti, gli uomini erano felici. Allo stesso modo l’artista, con le sue opere, appare come “Il pifferaio magico” delle favole nordiche che conquista ed ammalia, con le segrete alchimie delle sue composizioni espressioniste.
In conclusione, il fascino delle opere di Botez è il fascino del Mito, d’Euripide e della tragedia greca, delle feste dionisiache, legate alle feste della vendemmia, quei Baccanali, le orgiastiche feste notturne (celebrate prima dalle sole Baccanti e poi estese ad entrambi i sessi) che, successivamente, nel 186 a.C, il Senato di Roma proibì poiché non ritenute conformi al buon costume ed al decoro.
Dal mito, pertanto, trae linfa vitale questa pittura, del mito si nutre e in esso consuma le sue energie, come a ripetere un rituale “baccantico” di piacere e d’antica ebbrezza, noi e l’artista, insieme, attraverso un misterioso processo di proiezione/identificazione.
Ed allora? L’esito è l’individuazione, nelle sue opere, del nesso mito-rito nello specifico mito/rito/uso come organismo vitale di una cultura. La presenza di rituali iconografici similari, adottati in altre culture ed in diversi “campi d’immagine”, potrà leggersi come dimensione di riappropriazione di un universo simbolico percepito grazie alle connessioni archetipe esistenti. (Per essere più chiari, ad esempio, in campo pubblicitario, l’azienda Averna “vende” l’immagine del suo prodotto, l’alcool, identificando il piacere da esso derivante, al “piacere della vita”, con espliciti riferimenti ai rituali d’uso corrente dell’alcool “funzionale” alle relazioni pubbliche e sempre presente, in tavola, in occasioni di festa.)
A questo punto, è chiaro come la rumena Botez accolga in sé il mito di Bacco e delle Baccanti, “mitici latini”ed approdi, dal Mito alla Storia, inserendo nel suo germe pittorico I Saturnalia, quelle antiche feste dedicate a Saturno (Cronos) che la leggenda vuole abitante della Saturnia Tellus (Italia) e che la Storia di Roma ricorda giacché a questa divinità erano dedicati i Saturnali, quelle feste che si celebravano a metà Dicembre ed in cui era consuetudine fare banchetti, gozzovigliare e scambiarsi doni, accantonando le divisioni sociali e concedendo la simbolica libertà agli schiavi.
Da qui, dai Saturnali, l’amore di Doina Botez per il Carnevale, occasione unica per il popolo oppresso del millennio scorso; infatti, solo nel periodo carnevalesco era concesso il diritto di satireggiare Signori e padroni, senza, per questo, invischiarsi nelle trame della Giustizia che, in quei giorni particolari, non era amministrata.
Vivo appare l’interesse della pittrice, attraverso i temi carnascialeschi, per il mistero dell’uomo e del suo doppio, per la maschera ed il volto, il sé e l’altro di sé, pirandelliano gioco di ruolo e delle parti, un gioco tutto siciliano o sindrome della doppia personalità: mister Hyde o dottor Jackil?
Il quesito a risposta multipla rimane aperto: resta l’amore per il Carnevale che si traduce nella rappresentazione iconica evocatrice del piacere sfrenato legato a quel periodo dell’anno, detto del carnem levare, che si perde nella notte dei tempi.
Amore, dunque, da parte dell’artista rumena, per detti rituali; sentimento che si traduce in un altro amore: quello per la libertà di parola, d’espressione, d’idee, quell’ edoné, quel piacere che prescinde le dimensioni spazio-temporali e che, nello specifico dell’arte, approda ad un tempo eterno, immortale che solo l’Arte vera, come quella di Doina Botez può regalare: a noi, uomini del terzo millennio in cerca di verità e di nuovi orizzonti, ed ai posteri.
Testo critico in catalogo della mostra personale”Nutrimenti Terrestri Tra Mito e Storia” alla Caruso Gallery, Milazzo, aprile 2001