Claudio Strinati
Claudio Strinati
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Claudio Strinati
La mostra di Doina Botez può veramente definirsi come mostra di “ricerca” nel senso più alto e nobile del termine. E’ vero che un termine del genere è abusato nella critica d’arte ma mantiene una sua piena legittimazione ed è, nel nostro caso, l’autrice stessa a orientare l’osservatore verso una direzione particolare in cui forte creatività e sottile spirito critico convergono. La mostra si chiama, non a caso, “nosce te ipsum” ed è chiaro, anche solo esaminando il senso delle varie sezioni in cui la manifestazione è divisa, come l’indicazione della pittrice sia chiara e perentoria.
Fonte primaria di ispirazione è nelle Metamorfosi di Ovidio, un’opera letteraria che per secoli è stata punto di riferimento imprescindibile è indispensabile per innumerevoli esperienze figurative. La Botez, tuttavia, non è una classicista attestata su posizioni arcaiche ma è un’artista nutrita di classicità senza alcun coinvolgimento di rimpianto o riproposta di ciò che è irrimediabilmente perduto. E’ artista del nostro tempo che attinge, pero, dalla classicità un’idea fondamentale che funge da orientamento per tutta la sua opera. E questa idea è proprio nel criterio della continua e incessante trasformazione delle forme, della metamorfosi intesa come integrazione di momenti opposti ma sempre compatibili l’uno con l’altro. Domenico Guzzi parlò per la nostra artista di procedure per “apposizione” di materia e nel contempo di “sottrazione” della stessa. E, in effetti, l’eminente e compianto studioso aveva visto come sempre molto bene nella sostanza del tessuto figurativo di cui constato correttamente l’impossibilità di stabilire una definizione univoca. Ed è certamente vero, per sviluppare una tale riflessione, che nella nostra pittrice è possibile rintracciare matrici espressioniste contemperate da una dimensione apollinea che la rende del tutto peculiare nel panorama artistico attuale. Questa mostra, allora, rende conto di un aspetto cruciale dell’artista densa di contenuti stratificati e nel contempo di splendida evidenza formale. Grigore Arbore Popescu ha persino evocato la grande figura di Munch per suggerire come dall’opera della Botez si levi una sorta di potente grido attutito pero da una dimensione contemplativa che e un po’ la quintessenza della presente manifestazione.
Per noi è grande la soddisfazione di poter ospitare nel suggestivo spazio del Castello un’artista che ha indubbiamente un messaggio universale e una forte presa su chi sia veramente appassionato al mutevole ma formidabile linguaggio della pittura.
Testo critico in catalogo per la presentazione della mostra personale „Nosce te ipsum”, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, Sala delle Colonne, Roma, ottobre 2009