Plinio Perilli
Plinio Perilli
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Plinio Perilli
Residenze di luce
(I “luoghi d’anima” di Doina Botez)
„Non so dove i gabbiani abbiano il nido, ove trovino pace”, cantano dei versi melanconici e ariosi di Cardarelli. Ma forse a qualche posto bello e raro, è concesso d’ospitarli, oltre che alla poesia. Ravello, perla vera del Tirreno, „alta costa sopra il mare riguardante”, „quasi la più dilettevole parte d’Italia” – come già Boccaccio dipingeva questa dorata „cittadetta” nel Decameron – rispetta, interpreta da sempre il suo mero destino d’incanto. Estasi libera o contenuta, realtà quotidiana che la fantasia reclama misterica, restituisce e practica in pura gioia visibile. Come ogni caro luogo che accende, insegna Arte.
Progetti minimi e semplici di meraviglia, policromi teoremi sensibili, immoti eppure sommossi, i quadri di Doina Botez offrono finalmente nidi ai gabbiani, residenza alla luce, ricambiano d’azzurro ricordi o cieli sconfinati di mare… Una pittura gravida di colori, emozioni, paziente vestale d’una luminosità che s’elegge a entusiasta, sacra protagonista dell’opera. Così lo spettro solare s’amplia o si condensa, illimpidito di variazioni, o annebbiato da un bianco destino irradiante (moderna eredità dei vapori abbacinati e sublimi di Turner?, l’Azzurro asfissiante di Mallarmé?, il sintetismo idealista e la Noa Noa di Gauguin?). Ma quanta e quale creaturalità espressiva rivelano poi le sorvegliate sfumature del celeste color d’aria, tutti i lirismi inesauribili della Luce? C.G. Jung, in Psicologia e alchimia, evoca un turchino simbolismo fra cielo e mare, altitudine e profondità, ci parla di „oceano superiore e oceano inferiore”. E sono l’arte e la poesia insieme, che meglio li abitano.
Doina Botez, li dipinge: i suoi due oceani, talvolta laghi aperti del cuore, luoghi d’anima. Coniugato tempo/spazio, „Mattino a Ravello”. E come l’anima, costruisce rimorsi, coltiva ànditi o simulacri, instaura pretesti, adombra pudori di tenerezza. Quel ventoso, arruffato nodo d’azzurro e bianco dei gabbiani come alati amanti fermati in volo – quel cielo grondante e padrone di mezzo quadro, sinuoso di giallo-luce, di frammenti inesplosi fra pennellate d’orizzonte e trasversali sorgenti di chiarità, tempeste languidamente sognate, restituite dalla tela, ma domiciliate nell’Io… Il colore si aggruma generoso, s’addensa carico di presagi romantici, che il suo stesso deliquio ama svelarci, gioca a dire più nudi. Un vicolo scuro, segreto dietro la panoramica, densa trasparenza proclamata; un tranquillo, ostile fil di ferro che divide confini di proprietà e arrugginisce „Al tramonto” i medesimi scenari dell’incanto, frena, imprigiona l’eterna fuga dell’anima…
Tutto questo e con questo, Doina Botez ci ammalia, ci rassicura – quasi reciproco, fulgido o sfiorito controsenso di Luce.
Testo critico per la mostra personale „Omaggio a Ravello” – Chiostro di S. Francesco, Ravello, giugno 1994 a cura della Galleria dei Greci di Roma